Il disturbo d'ansia da separazione si caratterizza per paura eccessiva nel momento della separazione dalle figure di attaccamento.
La sintomatologia ansiosa risulta particolarmente intensa e limita notevolmente la vita del bambino e della sua famiglia.
I bambini possono non essere in grado di stare in una stanza della casa da soli, rimangono sempre vicini a un genitore, possono avere difiicoltá ad addormentarsi da soli. Si evidenzia una eccessiva preoccupazione di perdere i genitori, prefigurando la possibilitá che un evento avverso (morte, rapimento, incidente, malattia) li allontani da loro.
Quando vengono separati da casa o dalle principali figure di attaccamento possono mostrare ritiro sociale, apatia, tristezza, difficoltà a concentrarsi sulle attivitá da svolgere o sul gioco, é possibile rilevare difficoltá scolastiche, fatica nella concentrazione, isolamento sociale, rabbia, irrequietezza motoria.
L'insorgenza del disturbo puó verificarsi a seguito di un evento stressante (morte di un parente, di un animale domestico, malattia di un familiare, episodio di ospedalizzazione, cambio di scuola, di residenza, separazione/divorzio).
Le ricerche dimostrano che è più frequente nei bambini piccoli e colpisce circa il 2-5 % di questa popolazione.
Sintomi fisici: mal di pancia, vertigini, battito cardiaco accelerato, respiro corto e sudorazione. La manifestazione del disturbo tende a variare con l’età. Negli adolescenti i sintomi piú comuni sono mal di testa, palpitazioni, sensazioni di mancanza d'aria e attacchi di panico.
Sintomi cognitivi: I bambini piú piccoli potrebbero non essere in grado di identificare e verbalizzare i pensieri legati alla paura di allontanarsi dai genitori, limitandosi a riferire una sensazione generale di malessere o rifiutandosi di svolgere attivitá che li portino a separarsi dai familiari. I bambini piú grandi e gli adolescenti spesso sono in grado di descrivere le loro preoccupazioni.
Sintomi comportamentali nei bambini piccoli: pianti, aproteste intense al distacco dai genitori, difficoltá ad addormentarsi da soli, frequenti incubi di separazione o morte di persone care.
É possibile osservare il rifiuto nel dormire in camera da soli, stare a scuola o partecipare alle attività scolastiche senza che una persona di cui si fidano stia al loro fianco, stare a casa con la baby sitter.
Sintomi comportamentali negli adolescenti: sebbene il disturbo d'ansia di separazione sia piú comune nei bambini delle scuole elementari, anche gli adolescenti potrebbero esserne colpiti in momenti di particolare stress. Il ragazzo potrebbe presentare difficoltá nel rimanere a dormire fuori casa o nel sostenere impegni che lo portino ad essere autonomo e lontano dalla famiglia.
Il trattamento d'elezione per il disturbo d'ansia di separazione è la terapia cognitivo-comportamentale.
Durante la terapia è necessario il supporto e la collaborazione attiva dei genitori. Il lavoro terapeutico con il bambino mira a favorire la capacitá di identificare i pensieri disfunzionali e le emozioni negative connesse, normalizzare le emozioni esperite, fornire al bambino e alla famiglia strategie di fronteggiamento piú funzionali delle situazioni problematiche.
Si possono programmare esposizioni graduali del bambino alle situazioni di separazione dai genitori
Ansia e preoccupazione eccessive che si manifestano nello svolgimento di eventi o attivitá quotidiane sno il sintomo che caratterizza maggiormente questo disturbo.
In età evolutiva non è semplice distinguere tra manifestazioni di ansia e normali paure considerate fisiologiche in alcune epoche dello sviluppo del bambino. Solitamente, per tentare di distinguerle, vengono utilizzati il criterio cronologico, cioè il persistere di una determinata paura oltre la sua età "fisiologica", e il criterio comportamentale per cui si considera disfunzionale un'attivazione emotiva eccessiva per frequenza, durata ed intensità.
I sintomi associati all'ansia in età evolutiva sono molto simili a quelli riscontrabili negli adulti e possono essere suddivisi in:
Solitamente il bambino tende a voler evitare compiti ed esercizi per paura di sbagliare, vengono riferiti frequenti malesseri e dolori fisici (mal di testa e mal di stomaco durante le lezioni). Il bambino richiede rassicurazioni continue, chiarimenti, bisogno di approvazione. Si notano difficoltà nel prendere decisioni, tendenza all'isolamento sociale e procrastinazione degli impegni e delle scadenze.
Le preoccupazioni che affollano la mente dei bambini con disturbo d'ansia generalizzata possono riguardare la scuola (sarò all'altezza della verifica? riuscirò ad essere promosso?), le relazioni sociali (andrò bene ai miei compagni?), la famiglia (se dovesse capitare qualcosa ai miei genitori cosa farei?), le situazioni della vita quotidiana (possibili furti, incidenti ecc.). Questi bambini non riescono a tollerare l'incertezza e l'impossibilità di controllare tutte le possibili conseguenze degli eventi futuri, cercano quindi di prevedere ogni possibile scenario ponendo una moltitudine di domande all’adulto.
Mantenere un atteggiamento di ascolto e comprensione rispetto alle emozioni provate dal bambino, cercare di normalizzare la situazione aiutandolo a sviluppare un pensiero realistico e ragionando insieme a lui sull'effettiva oggettività del pericolo della situazione temuta. É consigliabile costruire situazioni e scenari alternativi. Non assecondare il bambino nel suo ritiro sociale o nell'evitamento di tutte le attività che ritiene difficili e che non vuole affrontare.
La scuola è uno degli ambienti che piú scatena il disturbo d'ansia generalizzato. Gli insegnanti non dovrebbero svalutare le paure del bambino. É importante che il bambino si senta compreso e non giudicato.
In fase iniziale, in accordo con la famiglia e con gli specialisti che seguono il percorso clinico del bambino, sarebbe importante ridurre le richieste didattiche, favorire verifiche ed interrogazioni programmate (Circolare Ministeriale n.8 del 6/3/2014 che prevede la figura del BES anche per i bambini/adolescenti con disturbi di ansia generalizzata).
La terapia cognitivo-comportamentale é considerata terapia d'elezione per i disturbi d'ansia.
La terapia cognitivo-comportamentale per il disturbo d'ansia generalizzata si compone di diverse fasi
La caratteristica essenziale dell’ansia sociale è una marcata o intensa paura relativa a situazioni sociali in cui il bambino può essere osservato o giudicato da altri.
Questa paura può portare chi ne soffre ad evitare la maggior parte delle situazioni sociali.
Solitamente le circostanze più temute da chi soffre di fobia sociale (o ansia sociale) sono quelle che implicano la necessità di dover fare qualcosa davanti ad altre persone, come ad esempio affrontare una interrogazione, telefonare, mangiare davanti ad altri, entrare in una sala dove ci sono persone già sedute, parlare con un proprio amico, presentarsi.
Nei bambini l’ansia si manifesta sia nelle relazioni con i coetanei sia nelle relazioni con adulti. La preoccupazione del giudizio altrui porta ad evitare molte situazioni di esposizione sociale. Le situazioni temute da bambini e adolescenti con disturbo d'ansia sociale si suddividono in due categorie:
Il campanello d’allarme che deve far pensare a un disturbo d’ansia nel bambino o nell’adolescente è il rifiuto di confrontarsi con situazioni nuove, in particolare quando queste situazioni richiedono il contatto con persone nuove, con compagni di classe o amici, o quando riguardano comunque un evento sociale.
Il bambino più piccolo in queste occasioni tende a protestare, fare capricci, fingere di non sentirsi bene proprio in occasioni di questi eventi. Negli adolescenti gli evitamenti sono più dichiarati e può nascere una vera e propria oppositività se vengono costretti ad affrontarli. Il disturbo d’ansia sociale non si manifesta solo fuori casa, ma può dare sintomi anche a casa, qualora si sia in presenza di estranei o qualora vengano organizzati eventi sociali.
In queste situazioni l’ansia può aumentare esponenzialmente in quanto il bambino/ragazzo può avvertire una vera e propria violazione del nido sicuro, manifestando veri e propri attacchi di panico Nell’ambiente scolastico il bambino/adolescente con ansia sociale potrebbe manifestarsi un rifiuto a recarsi a scuola, difficoltà di concentrazione, difficoltà di relazione coi compagni e con gli insegnanti.
Episodi di timidezza sono normali in ognuno di noi; tutti, in alcune situazioni, ne abbiamo fatto esperienza. Pertanto la distinzione tra timidezza e ansia sociale deve necessariamente tenere in considerazione criteri come il grado di intensità, pervasività e sofferenza che la persona sperimenta nell’affrontare le situazioni sociali. Da questo punto di vista, la timidezza può essere immaginata come parte di un continuum di "ansia sociale" che va dalla normalità alla patologia.
Ad un estremo possiamo immaginarla come una caratteristica della personalità in soggetti del tutto normali, nei quali si manifesta in alcune situazioni sociali senza arrecare particolare sofferenza. Possiamo poi immaginare una timidezza più diffusa e stabile e capace di far soffrire la persona, per poi arrivare a condizioni francamente patologiche come la fobia sociale.
La terapia cognitivo comportamentale si è rivelata molto efficace nel trattamento dei disturbi d’ansia sociale.
Il lavoro clinico è volto inizialmente a riconoscere le convinzioni disfunzionali o irrazionali che si attivano nel bambino quando deve affrontare situazioni di tipo sociale. Il terapeuta accompagna il bambino a valutare le diverse situazioni con maggiore oggettività tentando di identificare pensieri più funzionali e adattivi per affrontarle.
Parte essenziale del lavoro è rappresentato da momenti di esposizione che consistono nel provare gradualmente ad affrontare le situazioni temute. L’esposizione permetterà al bambino di verificare che le situazioni inizialmente percepite e vissute come minacciose non comportano un reale pericolo, imparando inoltre che affrontare e gestire l’ansia è possibile.
Il coinvolgimento della famiglia nel percorso clinico è estremamente importante, i genitori verranno aiutati a capire come gestire i momenti in cui il figlio manifesta sintomi d’ansia, evitando di rinforzare le sue paure.
È comune per i bambini avere paure che accompagnano la crescita e si inseriscono nel normale sviluppo psichico.
Le paure cambiano in base all'età, ma sostanzialmente possiamo dividerle in tre principali categorie:
Durante l'infanzia le paure più frequenti sono di tipo irrazionale: mostri, fantasmi, ecc.
Crescendo divengono sempre più complesse ed articolate, interessando maggiormente la sfera sociale e relazionale. La paura del buio o di dormire da soli, ad esempio, è tipica dei bambini tra i 3 e gli 8 anni, mentre la paura della guerra, dei tossicodipendenti compare evolutivamente più tardi.
I bambini rispetto alle loro paure possono manifestare atteggiamenti differenti: possono parlarne in modo esplicito, lamentarsi frequentemente e intensamente oppure cercare di mascherarle perchè si vergognano.
I problemi nascono quando la semplice paura diventa fobia.
La FOBIA è un tipo particolare di paura, sproporzionata rispetto alla situazione:
L’evoluzione di una paura in fobia è fortemente segnato dalle risposte di genitori ed educatori e da eventuali eventi traumatici esterni.
Tipo animali: fobia dei ragni (aracnofobia), fobia degli uccelli o fobia dei piccioni (ornitofobia), fobia degli insetti, fobia dei cani (cinofobia), fobia dei gatti (ailurofobia), fobia dei topi, ecc..
Tipo ambiente naturale: fobia dei temporali (brontofobia), fobia delle altezze (acrofobia), fobia del buio (scotofobia), fobia dell'acqua (idrofobia), ecc..
Tipo sangue-iniezioni-ferite: fobia del sangue (emofobia), fobia degli aghi, fobia delle siringhe, ecc.. In generale la paura viene provocata dalla vista di sangue o di una ferita o dal ricevere un'iniezione o altre procedure mediche invasive.
Tipo situazionale: nei casi in cui la paura è provocata da una situazione specifica: trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare, guidare, rimanere in luoghi chiusi (claustrofobia o agorafobia).
Le fobie possono essere tante quanti sono gli oggetti o gli eventi che possono determinare paura, è comunque il vissuto esperienziale di ciascuno a determinare la paura delle conseguenze.
Bambini con fobia specifica tendono, a causa delle condotte di evitamento, a ridurre notevolmente il repertorio dei propri comportamenti, ponendosi a rischio di ritiro sociale. Il disturbo, a lungo termine, può diventare fortemente invalidante per lo sviluppo sociale e psicologico del bambino.
Il trattamento delle fobie passa necessariamente attraverso l'utilizzo delle tecniche di esposizione graduata agli stimoli temuti. Il bambino/ragazzo viene avvicinato in modo progressivo agli stimoli che innescano la paura.
Il disturbo ossessivo-compulsivo (D.O.C.) è caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni.
Le ossessioni si presentano come pensieri, immagini mentali o impulsi con contenuti sgradevoli che creano una grande quantità d'ansia a chi li sperimenta.
Le compulsioni sono comportamenti, rituali (come lavarsi le mani, controllare che le serrature siano chiuse) o azioni mentali (ad esempio contare, pregare, ripetere alcune frasi) che i bambini e gli adolescenti si sentono obbligati a mettere in atto al fine di prevenire il verificarsi di eventi temuti e ridurre l'ansia
Esiste un disturbo se ossessioni e compulsioni sono percepite dal bambino come eccessivamente disturbanti, occupano tanto tempo nell’arco della loro giornata o interferiscono con la loro routine quotidiana.
L’età di esordio del disturbo ossessivo-compulsivo si colloca tra i 9 e gli 11 anni.
In età evolutiva le ossessioni piú frequenti sono quelle che riguardano lo sporco, le ossessioni dubitative, di simmetria, sessuali e a contenuto aggressivo. Frequente anche la "scrupolosità”, che si manifesta attraverso il timore di fare o dire qualcosa di sbagliato.
I bambini e gli adolescenti con disturbo ossessivo-compulsivo possono tentare di ignorare questi pensieri o evitare i comportamenti, ma generalmente non sono in grado di farlo.
Spesso tendono a nascondere le ossessioni e compulsioni per cui i genitori possono non accorgersene immediatamente. Di solito poi questi comportamenti vengono soppressi in ambienti sociali in quanto percepiti come sbagliati e di cui vergognarsi.
La maggior parte dei bambini attraversa fasi dello sviluppo caratterizzate dalla normale presenza di piccoli comportamenti compulsivi e rituali. Questi si riscontrano comunemente in bambini di età compresa tra due e otto anni, e sembrano essere funzionali al bisogno di controllare il loro ambiente e gestire le paure.
Piccoli rituali aiutano ad affrontare l'ansia legata alla separazione dai genitori e a migliorare la socializzazione. Con la crescita la maggior parte di questi rituali scompare da sola.
Al contrario i rituali del bambino con disturbo ossessivo compulsivo persistono nel tempo, sono invalidanti, provocano sofferenza, sentimenti di vergogna e portano all'isolamento.
I sintomi piú comunemente osservati in ambito scolastico sono i seguenti:
É fondamentale conoscere come il disturbo si manifesta, monitorando e registrando i momenti della giornata in cui emerge maggiormente e la frequenza delle compulsioni.
La famiglia non deve colludere con il disturbo del bambino e deve evitare di compiere azioni che lo rinforzino.
Evitare di dare troppe rassicurazioni è un passo fondamentale. Le rassicurazioni infatti riducono l'ansia del bambino/adolescente nell'immediato ma non permettono lo sviluppo di nuove e piú efficaci strategie di coping.
La famiglia deve essere coinvolta nel percorso terapeutico intrapreso per limitare la sintomatologia ossessivo-compulsiva
Il trattamento d'elezione per bambini e adolescenti con disturbo ossessivo compulsivo è la terapia cognitivo-comportamentale.
Nel corso della terapia è possibile giungere ad un controllo della sintomatologia presentata permettendo una migliore gestione dell'ansia. I bambini vengono aiutati a prendere coscienza di pensieri e comportamenti disfunzionali, contenere pensieri ripetitivi e ripetute richieste di rassicurazione, ridurre gradualmente i rituali sviluppando modalità di pensiero e di comportamento più funzionali. In particolare l'utilizzo della tecnica di esposizione con prevenzione della risposta (ERP) permette a bambini e adolescenti di confrontarsi con i propri timori, imparare a non cedere a ciò che il disturbo gli dice di fare, esponendosi alle loro paure senza mettere in atto le compulsioni. La cooperazione costante tra terapeuta, famigliari e scuola appare di fondamentale importanza per la buona riuscita del percorso clinico.
Il Disturbo della Condotta è un disturbo di natura comportamentale che consiste nel violare, in maniera ripetitiva e persistente, le regole imposte dalla società e i diritti degli altri.
I bambini/adolescenti con disturbo della condotta spesso travisano le intenzioni degli altri, considerandole, soprattutto in situazione ambigue, come piú ostili e reagiscono con aggressività ritenuta ragionevole e giustificata.
Gli adolescenti e i bambini con disturbo della condotta evidenziano caratteristiche di personalità caratterizzate da scarsa tolleranza alla frustrazione, irritabilità, scoppi di collera, sospettosità, indifferenza per le punizioni, ricerca di emozioni, sregolatezza, basso autocontrollo.
L'abuso di sostanze puó essere presente.
L'esatta causa del disturbo della condotta non è nota, si ritiene probabile una combinazione di fattori biologici, genetici, ambientali, psicologici.
Tra gli aspetti che possono contribuire allo sviluppo del disturbo della condotta possiamo citare: la disorganizzazione dell'attaccamento, gli stili di Parenting caratterizzati dal ricorso a controllo psicologico, l'abuso, le esperienze traumatiche, una storia familiare di abuso di sostanze, il ricorso ad una disciplina incoerente da parte dei genitori.
La mancanza di senso di colpa e l'assenza di rimorso sembrano giocare un ruolo chiave nel disturbo.
Per affrontare le problematiche comportamentali del disturbo della condotta è necessario ricorrere ad interventi clinici integrati che coinvolgano congiuntamente il bambino e i genitori quando possibile.
La terapia cognitivo-comportamentale per i bambini e gli adolescenti con problemi di condotta e di aggressività non può prescindere dalla costruzione di una buona alleanza terapeutica. I bambini/adolescenti con disturbo della condotta non solo non vogliono iniziare una terapia con uno psicologo, ma spesso vengono costretti dai genitori. L'intervento cognitivo-comportamentale è efficace se fondato su un empirismo collaborativo. Lo psicologo deve stabilire un qualche tipo di cooperazione con il bambino/adolescente contro i comuni avversari: rabbia e aggressività.
Stabilita una buona relazione terapeutica si procede al trattamento che prevede varie fasi:
Gli interventi di sostegno alla genitorialità si pongono i seguenti obiettivi:
Lo psicologo, qualora fosse necessario e possibile, prenderà contatti con la scuola al fine di informare le insegnanti sulla problematica psicologica presentata dal bambino e fornire strumenti utili di contenimento e gestione delle emozioni negative vissute dal bambino nel contesto scolastico. In tal modo è possibile garantire un lavoro congiunto tra famiglia, scuola e psicologo, sinergia indispensabile per un intervento efficace.
La diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio (D.O.P.) si applica a bambini che esibiscono livelli di rabbia intensa, irritabilitá, comportamenti provocatori e oppositivitá con conseguenti difficoltá di funzionamento psico-sociale.
Il disturbo oppositivo-provocatorio é riscontrabile in circa il 5-10% dei bambini di etá compresa tra i 6 e i 12 anni, con maggior frequenza nei maschi.
Una modalitá di comportamento negativistico, ostile e provocatorio che dura da almeno 6 mesi, durante i quali sono presenti 4 (o piú) dei seguenti criteri
Il trattamento prevede sia un intervento clinico sul bambino, sia un intervento di sostegno per i genitori.
Gli obiettivi dell'intervento psicoterapeutico sul bambino sono
Gli obiettivi dell'intervento sui genitori sono
Il disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD) é caratterizzato da un persistente livello di disattenzione, iperattività e impulsività, che interferisce con il normale sviluppo del bambino.
I bambini con questo disturbo mostrano difficoltá a mantenere la concentrazione, hanno la tendenza ad agire in modo impulsivo e non riescono a stare seduti per lunghi periodi di tempo; Inoltre, manifestano l'abilità emotiva e difficoltá nel rispettare i tempi di una conversazione.
Per formulare la diagnosi di ADHD, é necessario che i sintomi si manifestino prima dei sette anni e per almeno sei mesi.
Il trattamento piú efficace per la riduzione dei sintomi prevede un intervento intergrato tra bambino, famigliari e scuola di riferimento.
L'intervento individuale con il bambino promuove l'apprendimento di tecniche di autocontrollo per la gestione dell'impulsività, di riconoscimento delle proprie emozioni e di sviluppo di comportamenti alternativi piú funzionali.
L’intervento di parent training con i genitori é volto a fornire le informazioni sul disturbo e nuove tecniche di gestione dei comportamenti problematici.
Infine, la consulenza scolastica é finalizzata a fornire gli strumenti idonei per promuovere la socializzazione e mantenere l'integrazione nel gruppo classe.
Per bullismo si intendono tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino/adolescente (o di un gruppo), definito "bullo", nei confronti di un altro bambino/adolescente. Ad esempio uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto deliberatamente da uno o più bambini/adolescenti. Non si fa quindi riferimento ad un singolo atto, ma a una serie di comportamenti reiterati all’interno di un gruppo da parte di qualcuno che fa o dice cose per avere potere su un'altra persona.
Il termine si riferisce al fenomeno nel suo complesso e include i comportamenti del bullo, quelli della vittima e anche di chi assiste (gli osservatori). E’ possibile distinguere tra bullismo diretto (che comprende attacchi espliciti nei confronti della vittima e può essere di tipo fisico o verbale) e bullismo indiretto (che danneggia la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, attraverso atti come l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul suo conto, la compromissione dei suoi rapporti di amicizia). Quando le azioni di bullismo si verificano attraverso Internet (posta elettronica, social network, chat, blog, forum), o attraverso il telefono cellulare si parla di cyberbullismo.
Da uno studio della SIP (Società Italiana di Pediatria) emerge che nel 2012 la percezione dell'incidenza degli atti di bullismo tra gliadolescenti delle scuole medie è di circa il 53%.
Si manifesta in età compresa tra i 7 e i 16 anni e diminuisce di incidenza con l'avanzare dell'età. Maschi e femmine sono coinvolti in maniera diversa sia nella frequenza sia nella qualità delle aggressioni che vanno dalla violenza fisica o verbale, alla violenza psicologica e alla violenza indiretta.
Perché si possa parlare di bullismo è necessario che siano soddisfatti alcuni requisiti:
A partire da queste premesse, è importante ricordare che il bullismo non è:
Il bullo si caratterizza per un modello di reazione aggressiva associato alla forza fisica che si manifesta nei seguenti modi:
Per la vittima: eccessiva prudenza e insicurezza, incapacità di affermare se stessi, accentuata sensibilità e bassa autostima (che peggiora con il protrarsi delle ingerenze), debolezza fisica e atteggiamento negativo verso la violenza che viene interpretato come incapacità di difendersi dalle offese ricevute
Per il bullo: bisogno di dominio e potere, ostilità verso l'ambiente, sensibilità al "prestigio” ottenuto dalle prepotenze, mancanza di empatia e compassione, non adeguato riconoscimento delle emozioni altrui, tendenza alla deresponsabilizzazione per i propri gesti
FamiliariNelle famiglie delle vittime c'è la tendenza all'iper-protezione e a relazioni di tipo ansioso/controllante. Nelle famiglie dei bulli, lo stile educativo è spesso troppo permissivo o coercitivo e le regole poco strutturate e incoerenti. In alcuni casi la violenza e l'aggressività sono una caratteristica delle interazioni familiari.
RelazionaliLa caratteristica del bullismo è il cronicizzarsi di certe dinamiche all'interno del gruppo in cui alcuni ricoprono sempre il ruolo di vittime e altri sempre il ruolo di bulli.
Il bullo non agisce mai quando è solo, ma sempre di fronte ad altri compagni, i quali raramente prendono le difese della vittima, sia per paura di ritorsioni da parte del bullo, sia perchè la vittima è spesso impopolare.
In generale, è importante che i genitori prestino attenzione ad alcuni campanelli di allarme: il figlio ha spesso vestiti stracciati o sgualciti, libri o oggetti rovinati quando torna da scuola; ha lividi, ferite, tagli e graffi per i quali non riesce a fornire una spiegazione; non invita a casa i compagni di classe o i coetanei e raramente trascorre del tempo con loro; smette di andare su Internet o controlla i propri profili sui social network in continuazione; ha paura di andare a scuola, negli altri luoghi di aggregazione che prima frequentava abitualmente. Inoltre, possibili campanelli di allarme sono mal di stomaco o mal di testa frequenti prima di andare nei luoghi di aggregazione dove gli episodi avvengono (scuola, palestra…), così come sbalzi di umore o scatti d’ira. Possono essere campanelli di allarme anche le frequenti richieste di denaro in casa (o l’uso della carta di credito senza il permesso dei genitori) così come gli improvvisi cali nel rendimento scolastico.
Anche il genitore di un bambino o adolescente che mette in atto comportamenti "da bullo" può notare alcuni campanelli di allarme. In genere "i bulli" presentano difficoltà relazionali e/o sono spesso aggressivi non solo verso i compagni, ma anche verso gli adulti, di cui, con difficoltà, riconoscono l’autorità. Queste difficoltà relazionali in alcuni casi rientrano in veri e propri disturbi della condotta. Spesso le difficoltà relazionali si associano ad uno scarso rendimento scolastico. Altri campanelli di allarme possono essere il possesso di oggetti (cellulare, soldi, etc.) di cui il genitore non riesce a comprendere la provenienza.
L'intervento in caso di bullismo, prevede un trattamento con uno psicologo non solo per il bullo, ma anche per la vittima.
Il trattamento cognitivo-comportamentale sulla vittima di bullismo:
Il trattamento cognitivo-comportamentale sul bullo:
Il pavor nocturnus (in italiano: terrore notturno, terrore nel sonno) rientra nelle parasonnìe. È più frequente nei bambini rispetto alle bambine. Compare fra i 2 e i 12 anni, scompare in adolescenza, si verifica durante il sonno profondo, di solito nel primo terzo della notte, lasciando amnesia parziale o totale.
Il bambino lancia un grido, con gli occhi sbarrati, a volte serrati. Si osserva una forte attivazione del sistema nervoso autonomo: è sudato, ansante, pallido, a volte paonazzo, ha le pupille dilatate, il respiro corto e frequente, la frequenza cardiaca aumenta come anche il tono muscolare. Può succedere che ci siano perdite di urina. Il bambino si agita manifestando movimenti scomposti e rigidi, grida, piange, sembra in preda al terrore. Appare difficile entrare in relazione con lui attraverso gesti, parole o contatto diretto poiché spesso il terrore del bambino davanti a questi tentativi di avvicinamento può aumentare. Di solito la crisi si manifesta nel primo terzo della notte e dura pochi minuti. Alla fine il bambino torna a dormire come non fosse successo nulla. Al mattino non ricorda nulla perchè nella crisi non era consapevole.
Le cause del pavor nocturnus sono sconosciute. Sono stati identificati diversi fattori che sembrano fungere da catalizzatori: le alterazioni dell’equilibrio idrosalino, l’asma notturna, le apnee, la deprivazione di sonno, la distensione vescicale, la febbre, il reflusso gastroesofageo, le stimolazioni sonore o luminose durante il sonno, lo stress.
Si ritiene che una notevole importanza nell’esordio degli episodi di terrore notturno sia rivestita dalla componente genetica. Si è osservato, infatti, che il rischio di sviluppare il terrore notturno è dieci volte maggiore nei bambini che hanno un parente stretto che ha sperimentato pavor nocturnus o altre parasonnie.
La diagnosi sulla base della storia clinica può essere sufficiente.
L’esame strumentale (polisonnografia) è indicato nel caso in cui si renda necessaria una diagnosi differenziale con episodi di natura epilettica durante il sonno oppure si sospetti la presenza contemporanea di disturbi respiratori (che per definizione favoriscono l’insorgenza dei terrori notturni).
La diagnosi differenziale deve essere fatta anche con gli incubi, tipici della fase REM del sonno. Gli incubi generalmente si ricordano e si verificano in una diversa fase del sonno (prima parte del sonno nel caso dei terrori notturni, fase centrale/ultima parte nel caso degli incubi).
I terrori notturni, inoltre, devono essere distinti anche da episodi di attacchi di panico notturni che consistono in un risveglio associato a tachicardia, sudorazione e sensazione di soffocamento. Generalmente, a differenza dei terrori notturni, questi pazienti ricordano l’episodio al mattino e la durata dell’evento è compresa tra i 2 e gli 8 minuti.
Generalmente l'evoluzione del disturbo da terrore notturno ha un andamento benigno e tende ad andare incontro a remissione spontanea senza interventi mirati.
Se i terrori notturni hanno una frequenza inferiore a 1 settimana e non mettono a rischio di incidenti il bambino, si possono mettere in atto accorgimenti non farmacologici, tra cui:
Quando invece sono presenti le condizioni di seguito elencate, si rende necessario un intervento specialistico:
In questi casi, dopo una valutazione clinica approfondita il trattamento cognitivo-comportamentale consiste in un protocollo di risvegli notturni programmati per una o più settimane. I risvegli notturni, infatti, alterano i cicli del sonno del bambino, modificando il pattern elettrofisiologico che sottende al disturbo.
L'insonnia in età pediatrica/adolescenziale rappresenta uno dei disturbi per cui viene più frequentemente richiesta una consultazione. Le cause possono essere legate a problemi di natura medica (ad es. assunzione di determinati farmaci, dolori ecc.) o comportamentale (mancanza di un ritmo sonno-veglia regolare, scarsa igiene del sonno, associazioni negative con il sonno ecc.). Similmente all’insonnia dell’adulto, possiamo avere disturbi di inizio e/o di mantenimento del sonno, anche se, dal punto di vista clinico, specialmente nei bambini più piccoli, le manifestazioni più frequenti sono il "rifiuto" di andare a dormire e la difficoltà a riaddormentarsi autonomamente (senza l'intervento dei genitori) durante i risvegli notturni.
L’epidemiologia dell'insonnia del bambino presenta una variabilità legata all’età: l’insonnia è presente in circa il 20-30% dei bambini nei primi 2 anni di vita e si riduce al 15% dai 3 anni in poi.
Possiamo distinguere diversi tipi di insonnia, ognuno dei quali è maggiormente rappresentativo di una particolare fascia di età:
Un bambino che dorme poco e/o male, può presentare problematiche a livello comportamentale (disattenzione e/o iperattività) e cognitivo (difficoltà di apprendimento e memoria). Inoltre il sonno riveste un’importanza cruciale, poiché è proprio durante il sonno che viene prodotto l’ormone della crescita. L’insonnia del bambino naturalmente comporta conseguenze importanti anche nel sonno e nel riposo del genitore.
Per migliorare il sonno del bambino quando il problema non è cronico, è spesso sufficiente intervenire sulle abitudini di vita e sui fattori ambientali (il rumore, la temperatura nella stanza, la luce nella stanza, ecc.), applicando principi di igiene del sonno (aiutare il bambino ad associare il sonno con il suo lettino, mantenere costanti gli orari di addormentamento e risveglio, mandare il bambino a dormire già sazio). Quando questo non appare sufficiente si consiglia di rivolgersi a un esperto
Il sonnambulismo fa parte delle parasonnie, disturbi caratterizzati da esperienze e comportamenti anomali o fisiologici che si verificano in associazione al sonno.
Tra le parassonnie più comuni, soprattutto in età evolutiva, troviamo proprio il sonnambulismo.
Il sonnambulismo è caratterizzato da ripetuti episodi di allontanamento dal letto durante il sonno e di deambulazione nei dintorni. Durante gli episodi il bambino/ragazzo ha un’espressione fissa, vuota, è relativamente non reattivo agli sforzi fatti da altri per comunicare con lui e può essere risvegliato solo con grande difficoltà
Gli episodi di sonnambulismo durano generalmente dai 5 ai 20 minuti.
Il sonnambulismo è un disturbo che riguarda prevalentemente l'età evolutiva ed è piuttosto comune: si stima che il 15/30% dei bambini hanno sperimentato almeno una volta un episodio di sonnambulismo, mentre circa il 6% presenta episodi ricorrenti. Generalmente, a partire dalla pubertà, tende a scomparire spontaneamente.
Le cause del sonnambulismo sono sconosciute. Si ritiene che vi siano diversi fattori in grado di scatenarlo: forte stress, disagio psicologico, deprivazione di sonno, febbre alta, una patologia infettiva, ecc.
Si è osservato inoltre che circa il 50% delle persone affette da sonnambulismo hanno perlomeno un familiare stretto con episodi di sonnambulismo nel corso della sua esistenza.
La diagnosi può essere effettuata anche solo sulla base del racconto riportato da chi ha assistito agli episodi di sonnambulismo.
Una diagnosi di tipo strumentale (video-polisonnografia) si rende indispensabile nel caso in cui si sospetti che gli episodi riportati siano di natura epilettica.
In linea generale, il sonnambulismo non richiede un trattamento specifico. L'approccio terapeutico, se così vogliamo chiamarlo, prevede alcuni suggerimenti:
L'enuresi notturna è un disturbo che consiste nella perdita involontaria e completa di urina durante il sonno in un’età (5-6 anni) in cui la maggior parte dei bambini ha ormai acquisito il controllo degli sfinteri. Si tratta di un problema frequente che interessa il 10-15% dei bambini.
Per parlare di enuresi notturna è necessario che il problema si presenti con una certa frequenza e non in modo sporadico.
Il disagio psicologico scaturito da questa condizione riguarda soprattutto le limitazioni in situazioni sociali. Spesso il bambino prova un senso di vergogna e si rifiuta di partecipare ad attività che comportano l'uscita dall'ambiente familiare e il pernottamento fuori casa.
Il disturbo mostra nella maggior parte dei casi una tendenza alla remissione spontanea. L'inizio del trattamento psicoterapeutico avviene generalmente intorno ai sei-sette anni, dopo un'accurata analisi volta ad escludere eventuali cause organiche.
Il trattamento cognitivo-comportamentale prevede sessioni di lavoro sia con il bambino, sia con i genitori e previene la cronicizzazione del disturbo. La buona riuscita dell'intervento è supportata dal coinvolgimento dei genitori e soprattutto dalla motivazione del bambino.
L'encopresi ("cacca addosso") è un disturbo caratterizzato dall'emissione involontaria o volontaria di feci in una età in cui il bambino dovrebbe essere continente.
L'età di insorgenza è in genere quella scolare (6-8 anni).
Il bambino con encopresi è spesso preoccupato per la sua incontinenza e manifesta ansia, senso di colpa, paura di essere scoperto o accusato; altre volte mostra un'apparente indifferenza al sintomo o sviluppa comportamenti di dissimulazione o accumulo (nasconde o conserva le feci); più raramente il sintomo è legato ad atteggiamenti provocatori. Il disturbo si manifesta generalmente nelle ore diurne e coinvolge circa l'1% dei bambini di 5 anni; è più frequente nei maschi.
L'encopresi può essere primaria, quando il bambino non ha mai raggiunto il controllo dello sfintere anale o secondaria, quando il bambino ha già raggiunto il normale controllo sfinterico.
Fattori che intervengono nella genesi del problema
L'encopresi, soprattutto se secondaria, segnala una sofferenza emozionale spesso associata ad eventi della vita quotidiana, ad esempio: la nascita di un fratellino, l'inserimento scolastico, un trasloco, la separazione dei genitori, un periodo prolungato di ospedalizzazione, la morte di un genitore o di un familiare.
La terapia dell'encopresi segue quattro linee fondamentali
Di fondamentale importanza è l'intervento sull'aspetto cognitivo per affrontare le difficoltà emotive. Risulta inoltre indispensabile modificare gli atteggiamenti del bambino e dei familiari rispetto all'encopresi.
I disturbi dell'apprendimento sono condizioni nelle quali risulta specificatamente compromessa la capacità di apprendimento della lettura (dislessia), della scrittura (disgrafia e disortografia) o del calcolo (discalculia), in assenza di deficit intellettivi, neurologici, sensoriali. Possono essere associati a disturbi del linguaggio, disordini della lateralizzazione spazio-temporale (i pazienti confondono ad esempio ieri e domani, destra e sinistra), disturbi emotivi (ansia, insicurezza, iperattività, tic, enuresi, ecc.).
Dislessia è il termine utilizzato per esprimere le difficoltà di apprendimento caratterizzate da problemi nel riconoscimento e lettura fluente delle parole.
Spesso si presenta in comorbidità con altri disturbi dell'apprendimento, cadute nella memoria di lavoro o difficoltà nella comprensione del testo letto.
La Scrittura si caratterizza per due componenti: una di natura linguistica (ortografia) e una di natura motoria (grafia). Le difficoltà a carico delle abilità di scrittura possono coinvolgere una o entrambe queste componenti.
La disortografia consiste nella difficoltà a tradurre correttamente i suoni che compongono le parole in simboli grafici.
La disgrafia si manifesta, invece, come difficoltà a riprodurre sia i segni alfabetici, sia quelli numerici; è un disturbo legato a difficoltà nella motricità fine spesso associata a difficoltà nelle competenze prassiche, che impediscono di automatizzare la routine motoria necessaria per la realizzazione del segno scritto.
Discalculia è il termine utilizzato per riferirsi a un insieme di difficoltà nell'elaborare informazioni numeriche, imparare formule aritmetiche ed eseguire i calcoli in maniera accurata e fluente.
Per poter effettuare una valutazione mirata ed accurata è necessario eseguire un primo colloquio con i genitori grazie al quale vengono raccolte le informazioni relative alla storia di sviluppo e alle difficoltà presentate dal bambino/ragazzo. Successivamente viene realizzata la valutazione neuropsicologica approfondita con finalità diagnostiche e di elaborazione di un piano terapeutico personalizzato.
Segue un secondo incontro con i genitori durante il quale si condividono i contenuti emersi dalla valutazione.
Quando necessario si provvede alla stesura della segnalazione scolastica.
In base all’art. 3 legge 170/2010, la Regione Emilia Romagna ha precisato che le diagnosi di D.S.A. e le successive segnalazioni scolastiche possono essere effettuate sia dai Servizi di NPIA delle Ausl della Regione, sia da professionisti privati (neuropsichiatri infantili e/o psicologi) adeguatamente formati in materia.
La valutazione neuropsicologica ha come scopo l'esame delle funzioni cognitive del bambino/ragazzo.
Attraverso l'utilizzo di test scientifici standardizzati, vengono indagate le abilità cognitive, gli apprendimenti, il linguaggio, la memoria, le capacità attentive, le funzioni prassiche ed esecutive.
Non esiste un vero e proprio trattamento dei disturbi di apprendimento, che vengono sempre più considerati neurodiversità piuttosto che patologie.
Dalla Consensus Conference è emerso che: "i trattamenti più efficaci sembrano essere quelli mirati a riabilitare la funzione o vicariare la funzione con metodi strutturati o basati sul deficit".
Gli interventi variano a seconda delle caratteristiche individuali ed hanno le seguenti finalità:
Il trattamento non dovrebbe limitarsi a proporre tecniche specifiche per la riduzione del deficit, ma affiancare anche una serie di misure compensative per poter avanzare nel percorso di apprendimento (ad esempio l'uso della calcolatrice per i discalculici che consente di eseguire operazioni aritmetiche; l'utilizzo di un programma di videoscrittura al computer con correttore ortografico, qualora il problema sia la disortografia). Sono da considerare anche gli interventi metacognitivi per gestire in modo maggiormente consapevole e strategico le difficoltà incontrate a livello di apprendimento e studio.
Fondamentale, accanto al ruolo svolto dal personale specializzato, il sostegno che può fornire la scuola con l'applicazione di una didattica personalizzata e adatta alle caratteristiche del ragazzo.
Fino al 1970 era opinione comune che i disturbi depressivi fossero più frequenti negli adulti e abbastanza rari nei bambini. Inoltre oscillazioni nell'umore, umore basso e irritabilità erano considerati come aspetti "naturali" dell'adolescenza, conseguenze dello sviluppo e del cambiamento di ruolo sociale e familiare.
Nella pratica clinica il termine "depressione" è utilizzato per descrivere un gruppo di sintomi che portano a significativi cambiamenti nel tono dell'umore, nel pensiero e nel comportamento per almeno due settimane.
Non dimentichiamo che la tristezza, in età evolutiva, può essere collegata a una condizione di bassa autostima, fragilità che si riscontra frequentemente durante la pubertà e l’adolescenza in associazione a difficoltà relazionali. In questi casi è improprio parlare di depressione, piuttosto di lievi disturbi dell'umore che sembrano insorgere per cause psicosociali.
Oltre all'umore triste, con il termine "depressione", ci si riferisce ad una costellazione di comportamenti che possono includere una perdita di interesse per molte attività, cambiamenti delle abitudini alimentari, senso di stanchezza, agitazione psicomotoria, diminuita capacità di concentrazione, alterazioni del sonno, idee di suicidio. Nella depressione grave, il bambino può avere sentimenti profondi di colpa e sentirsi responsabile per eventi occorsi in passato.
Un altro disturbo depressivo meno frequente in età evolutiva è il disturbo maniaco-depressivo, detto anche disturbo bipolare.
Bambini e adolescenti affetti da tale disturbo attraversano periodi di iperattività, specialmente durante la fase maniacale, ed è molto probabile che mostrino comportamenti aggressivi e antisociali, seguiti da gravi alterazioni dell’umore di natura ciclica.
La depressione può produrre modificazioni nel sonno, nell'alimentazione, nel livello di energia (facile stancabilità) o nella motivazione (difficoltà ad iniziare attività).
In alcuni casi si riscontra uno specifico fattore precipitante, un evento o una circostanza che è possibile individuare all'esordio del disturbo. In altri casi vi è un lento deterioramento delle competenze sociali e di coping (il fronteggiamento delle situazioni della vita) senza eventi scatenanti.
Che si tratti di depressione o di altre avvisaglie comportamentali, si consiglia un consulto immediato per evitare che la sofferenza si perpetui ed esponga il bambino a disturbi più seri ed invalidanti col passare del tempo.
L’intervento terapeutico dovrebbe essere rivolto a perseguire i seguenti obiettivi:
L'approccio farmacologico, talvolta indispensabile, prevede l'utilizzo di farmaci antidepressivi di tipo serotoninergico (in grado di aumentare i livelli di serotonina). La comunità scientifica indica il trattamento psicoterapeutico come l'intervento più opportuno per la cura della depressione infantile. In base alla specificità situazionale, è consigliabile intraprendere un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale, sistemica (che quindi coinvolga tutta la famiglia) o interpersonale.
La balbuzie è una difficoltà caratterizzata da una estrema variabilità, è molto diffusa e può seriamente compromettere la qualità di vita di un bambino. Tuttavia, va precisato che moltissimi bambini, in età prescolare, attraversano periodi di balbuzie: tendono a ripetere parole intere o frasi, utilizzano riempitivi come "um" e "uh" o presentano difficoltà ad accedere al lessico appropriato. Queste fasi della balbuzie possono essere transitorie: nella maggior parte dei casi le manifestazioni si risolvono autonomamente e non richiedono alcun trattamento logopedico o psicoterapico.
Il DSM-V (2014) definisce così il disturbo della balbuzie: "Alterazioni della normale fluenza e della cadenza dell'eloquio, che sono inappropriate per l'età dell'individuo e per le abilità linguistiche, persistono nel tempo e sono caratterizzate dal frequente e marcato verificarsi di uno o più dei seguenti elementi: ripetizioni di suoni e sillabe, prolungamenti dei suoni, interruzione di parole, pause del discorso, sostituzioni di parole, parole pronunciate con eccessiva tensione fisica, ecc.".
La balbuzie interessa circa l'1% della popolazione mondiale (tasso di prevalenza), senza apparente distinzione di razza o cultura, ma circa il 5% può dire di averne sofferto in qualche misura nel corso della sua vita (tasso d'incidenza). La differenza tra i due tassi è spiegabile con l'alta percentuale di remissione.
La balbuzie non è solo un difetto di tipo fisico, articolatorio, ma è fortemente correlata ad aspetti emotivi e psicologici del bambino/adolescente.
Ha anche un forte impatto sull'autostima, sulla costruzione delle relazioni interpersonali e sul rendimento scolastico, oltre a condizionare tutto il benessere psico-emotivo del bambino/adolescente.
Nello specifico, l'episodio di balbuzie, oltre a compromettere l'intenzionalità comunicativa del bambino, è accompagnato da una vasta gamma di sintomi secondari: difficoltà nel mantenere il contatto oculare, repentini movimenti della testa, smorfie, che sono utilizzati dal bambino stesso come strategie di coping in previsione della balbuzie.
In alcuni casi si può più correttamente parlare di cause imitative, in quanto è ampiamente dimostrata la maggior predisposizione alla balbuzie nei bambini nati in realtà familiari ove vi siano soggetti affetti da tale disturbo.
Verso i tre/quattro anni i bambini manifestano le prime imperfezioni nella fluenza verbale, con ripetizioni o prolungamenti di suoni. Tali imperfezioni nella parola, chiamate dis-fluenze, possono essere del tutto normali e generalmente, con il passare del tempo, tendono a scomparire naturalmente.
Purtroppo anche la vera balbuzie, o dis-fluenza anormale, è un disturbo che generalmente insorge nell'età infantile, collocandosi tipicamente nel periodo 4-6 anni.
Il trattamento psicoterapico e logopedico della balbuzie in età evolutiva/adolescenza si propone di supportare il bambino nel processo di modifica di tutti quei pensieri disfunzionali ed emozioni negative legate alla balbuzie. Inoltre, si propone di favorire il cambiamento dei comportamenti disadattivi che si trovano alla base della psicopatologia.
Il trattamento quindi si concentra sulla riduzione della frequenza e della durata degli episodi di balbuzie, sulla gestione dei comportamenti di fuga ed evitamento, sul monitoraggio degli aspetti emotivi associati.
Di fondamentale importanza è inoltre fornire informazioni utili al bambino e alla famiglia circa la balbuzie.
In un secondo momento, i comportamenti appresi dovranno essere generalizzati e trasferiti dal setting terapeutico alle situazioni di vita quotidiana.
Le relazioni esistenti all'interno del nucleo familiare e a scuola possono rappresentare per il bambino balbuziente sia un'area problematica, sia una risorsa importante. Con alcuni semplici accorgimenti scuola e famiglia possono aiutare il bambino con balbuzie:
L'insufficienza tubarica è una patologia che colpisce adulti e bambini ed è caratterizzata dal non corretto funzionamento della tuba di Eustachio, canale di collegamento tra naso e orecchio medio.
La Tuba di Eustachio ha il compito di regolare l'aerazione, ventilare ed auto pulire l'orecchio medio, pertanto la sua disfunzionalità è causa di fastidiose problematiche tra cui lo sviluppo di otiti croniche che possono portare alla distruzione delle strutture dell'orecchio medio con perdita di udito.
I sintomi prevalentemente associati all'insufficienza tubarica sono otiti sieromucose ricorrenti, respirazione orale, abbassamento della soglia uditiva ed infezione della rino-faringe. Le problematiche uditive connesse possono compromettere la normale acquisizione del linguaggio orale.
La rieducazione tubarica è quell'insieme di esercizi fisici (linguale, velare, mandibolare, respiratorio s.l.), finalizzati a ripristinare le funzioni fondamentali della tuba d'Eustachio. Questo tipo di attività risulta efficace nelle patologie che compromettono il buon funzionamento dell'apparato uditivo, sia nell'età infantile, sia in quella adulta. È possibile associare la rieducazione tubarica all'approccio terapeutico tradizionale (terapia termale, terapia farmacologica, etc.).
La deglutizione atipica è la permanenza della deglutizione infantile nei bambini o negli adulti.
Si manifesta con un abbassamento della posizione della lingua a riposo e con interposizione dentale.
In genere il passaggio dalla deglutizione infantile a quella adulta avviene attorno ai sette-otto anni. Molti bambini mantengono la deglutizione infantile oltre il periodo considerato normale. Si parla in questi casi di deglutizione atipica infantile.
Il bambino con permanenza di una deglutizione infantile presenta alcuni segni e sintomi che lo accompagnano nella quotidianità. In particolare si nota respirazione orale (atteggiamento tipico è quello della bocca aperta durante la giornata) dovuta alla scorretta postura adottata dalla lingua all'interno del cavo orale in condizione di riposo. Inoltre, il bambino avrà un palato alto e stretto, una crescita anormale della dentizione e una conseguente presenza di mal occlusioni. In alcuni casi, le conformazioni anatomiche determineranno anche distorsione di alcuni fonemi, difficoltà masticatorie e deglutitorie per cibi liquidi e solidi.
Solitamente la deglutizione infantile è accompagnata da abitudini viziate quali succhiamento di uno o più dita, uso prolungato del ciuccio e/o del biberon.
Non sono rari i bambini con problematiche posturali dovute alle alterazioni citate in precedenza.
La Terapia Miofunzionale, che si attua per rieducare la deglutizione infantile, è una tecnica riabilitativa finalizzata al ripristino dell'equilibrio della muscolatura orale e periorale e all'insegnamento di un corretto pattern deglutito rio. Consiste in un insieme di prassie bucco-facciali seguite dall’'stazione di una corretta postura linguale a riposo e durante l'atto deglutitorio.
L'insufficienza velo-faringea è l'incapacità di chiudere il passaggio tra rinofaringe e orofaringe mediante l'elevazione del palato molle e la contrazione delle pareti faringee laterale e posteriore. Le conseguenze più evidenti sono: una fuga d'aria nasale, che altera la corretta articolazione dei fonemi orali, e la comparsa di sostituzioni extra-articolatorie.
Possono essere associati inoltre disturbi della deglutizione, e della voce; questi ultimi, conseguenza del tentativo di compensare e mascherare la distorsione nasale, possono a volte provocare una disfonia da sforzo.
L'Insufficienza Velo Faringea può essere secondaria ad alterazioni strutturali (palatoschisi, palato corto congenito, schisi sub mucosa ecc.), a forme funzionali, a forme neurologiche o a sindromi.
Obiettivi principali del trattamento sono
Si parla di frenulo linguale corto quando il frenulo àncora la lingua limitandone i movimenti.
Le conseguenze possono essere numerose: difficoltà ad alimentarsi al seno, alterazione della postura linguale a riposo, alterazione della deglutizione, deficit occlusionali, errata postura corporea, dislalie organiche e difficoltà del linguaggio
Comprende esercizi muscolari volti ad elasticizzare il frenulo al fine di innalzare la punta della lingua verso il palato. A volte il frenulo linguale puó risultare troppo corto: in tal caso viene eseguito un piccolissimo intervento chirurgico detto "frenulectomia". A seguito dell'intervento, é fondamentale effettuare alcune sedute di logopedia per far sì che la cicatrizzazione sia completamente elastica ed evitare recidive del problema.
La disfonia è una patologia della voce che può comparire in età evolutiva e adulta. Si può definire un disturbo nell'emissione della voce, dovuto a cause organiche (noduli, polipi, cisti…) o funzionali.
Le disfonie organiche sono causate da malformazioni congenite, malattie endocrine o metaboliche, infiammazioni, tumori che coinvolgono gli organi deputati all'emissione della voce, cioè polmoni, bocca, laringe, faringe, fosse nasali.
Le disfonie disfunzionali sono caratterizzate da un eccesso o un difetto della funzione fonatoria. In alcuni casi si ha uno sforzo vocale dovuto ad una contrazione esagerata di parte o di tutta la muscolatura fonica, in altri casi si ha un indebolimento vocale per diminuzione del tono muscolare.
I sintomi che caratterizzano la presenza di disfonia includono afonia (perdita completa della voce), fonoastenia (insufficienza vocale caratterizzata da voce flebile, fioca e affaticata), raucedine (caratterizzata da una velatura più o meno grave della voce, propria delle malattie infiammatorie o tumorali della laringe), diplofonia (voce caratterizzata dall’emissione contemporanea di due tonalità, tipica delle paralisi del nervo ricorrente).
La terapia è di tipo chirurgico, farmacologico e/o logopedico. A supporto della terapia è bene insegnare al paziente norme di igiene vocale da applicare nella quotidianità per evitare l'aggravarsi e la ricomparsa del sintomo disfonico.
La terapia logopedica può essere d'elezione o di supporto alla chirurgia.
In entrambi i casi si propone di (ri)educare all'uso della voce attraverso esercizi di propriocezione, respirazione e fonazione.
La Dislalia è un disturbo che si manifesta nei bambini attraverso difficoltà nella produzione dei fonemi. A causa di questa difficoltà il linguaggio risulta perciò di scarsa comprensibilità.
Le cause possono essere molteplici: alterazioni anatomiche del palato, della bocca, delle labbra, del naso o un semplice difetto dell'udito.
La logopedia ha come obiettivo il completamento dell'inventario fonetico agendo su cause e problematiche che impediscono la corretta produzione dei fonemi.
Il disturbo specifico dell'articolazione e dell'eloquio, spesso definito anche disturbo fonetico-fonologico, è una difficoltà relativa all'acquisizione del linguaggio che porta il bambino a produrre i suoni della lingua (fonemi) in modo scorretto e non adeguato all’età. La presenza di questo disturbo può rendere difficilmente comprensibile il linguaggio verbale a causa delle omissioni, sostituzioni e/o inversioni di fonemi che lo caratterizzano.
La frase orale, pur essendo correttamente strutturata, risulta incomprensibile per le numerose devianze fonologiche.
In uno sviluppo normo-tipico, intorno ai 5 anni di età il bambino è in possesso di un inventario fonetico completo ed è in grado di articolare tutti i gruppi consonantici.
La valutazione in logopedia viene effettuata mediante analisi dell'inventario fonetico-fonologico del bambino e tramite l'applicazione di test standardizzati che valutano le abilità prassiche, linguo-bucco-facciali, l'articolazione verbale, la percezione fonetico-fonologica, le abilità comunicativo-linguistiche. Tale analisi consente di evidenziare le caratteristiche del disturbo e in particolare di distinguere il disturbo articolatorio o fonetico (mancanza dei suoni) dal disturbo fonologico (utilizzo scorretto dei fonemi) e dal disturbo fonetico-fonologico (mancanza e scorretto utilizzo dei suoni).
In base alle peculiarità del disturbo viene programmato un piano di trattamento logopedico individuale mirato a sviluppare le abilità uditivo-percettive, neuromotorio-articolatorie e/o cognitivo-linguistiche per migliorare l'articolazione dei singoli suoni o ridurre gli errori nella produzione delle parole.
Durante il processo di acquisizione del linguaggio, la competenza fonologica influenza notevolmente lo sviluppo delle capacità grammaticali, sintattiche e lessicali. La logopedia risulta dunque indispensabile a partire dai 3-4 anni del bambino.
Studi dimostrano che un trattamento logopedico precoce e intensivo riduce il rischio di ricadute sull'apprendimento scolastico. Pertanto, dovrebbe concludersi prima dell'inizio della scuola primaria.
Il disturbo semantico pragmatico è un deficit del linguaggio riferito alle regole della conversazione in situazioni sociali e all'uso concettuale delle parole.
In particolare, la semantica è la rappresentazione mentale che il soggetto costruisce attorno all'etichetta lessicale (l'insieme dei significati attribuiti ad una parola), mentre la pragmatica è l'uso del linguaggio in base al contesto e all'interlocutore.
Attraverso l'intervento specifico in logopedia verrà stimolata la capacità del bambino di integrarsi in modo appropriato con i coetanei e gli adulti usando il gioco simbolico e lo scambio di ruoli.
La morfosintassi riguarda le regole che permettono di organizzare le parole tra loro in una frase (uso di articoli, preposizioni, declinazione corretta dei verbi, uso del maschile/femminile, uso del singolare/plurale…).
In particolare la Morfologia è la declinazione singolare/plurale dei nomi, la coniugazione verbale, il tempo dei verbi e l'accordo aggettivo-nome; la Sintassi si riferisce all'intera organizzazione della struttura dell'enunciato.
Le cadute relative alla morfosintassi possono manifestarsi sia in produzione (con difficoltà nella strutturazione della frase), sia in comprensione.
L’intervento specifico in logopedia consiste nella stimolazione della comprensione e produzione di strutture frasali e singoli morfemi di complessità crescente, partendo dai punti di debolezza del bambino.
La disprassia verbale è un disturbo del sistema nervoso centrale che comporta difficoltà di programmazione dei movimenti articolatori necessari alla produzione dei suoni, difficoltà nell'articolarli insieme e nell'ordinarli nella giusta sequenza per formulare parole e frasi. Esistono una disprassia verbale primaria, le cui cause non sono ad oggi conosciute, e una secondaria ad altri disturbi, come le paralisi cerebrali infantili. Nella classificazione dei disturbi specifici del linguaggio la disprassia verbale è inclusa nei disturbi espressivi e ne rappresenta il sottotipo più grave.
Il bambino piccolo con disprassia verbale può presentare riduzione della lallazione e dei vocalizzi tipici per l'età, ritardo di comparsa delle prime parole, che vengono inoltre pronunciate in maniera distorta tanto da renderle inintelligibili. L'inventario dei suoni appare ridotto rispetto a quanto atteso per l'età e l'incremento del repertorio è molto lento, faticoso e spesso non segue lo stesso iter di acquisizione dello sviluppo tipico. Il bambino ha difficoltà nella pianificazione dei gesti articolatori e quindi ricerca lentamente il punto e il modo di articolazione di ogni singolo fonema. Il risultato è un linguaggio molto povero e con numerosi errori (omissioni, sostituzioni, distorsioni); gli errori aumentano all'aumentare della lunghezza della parola o dell'enunciato. Difficoltà importanti si evidenziano nel passaggio alla costruzione della frase per cui possono permanere a lungo disturbi della sua pianificazione e scarsa prosodia.
La comprensione verbale è solitamente adeguata all'età cronologica.
Alla disprassia verbale può associarsi una disprassia orale con coinvolgimento dell'apparato buccofonatorio. Quest'ultima comporta difficoltà di controllo della salivazione (scialorrea), scarsa motilità della lingua, difficoltà di masticazione o di deglutizione. È possibile inoltre riscontrare il fenomeno della dissociazione automatico-volontaria; il bambino disprassico riesce a realizzare i movimenti della zona buccofonatoria in maniera automatica, ma può non essere capace di riprodurli su richiesta.
Il percorso è lungo e articolato in diverse fasi. Il primo obiettivo, per lo sviluppo di un corretta espressione verbale in un soggetto con disprassia verbale, è quello di costruire una rappresentazione del gesto fonoarticolatorio a partire dal programma motorio che lo costituisce. Sono utili in questa fase tecniche per visualizzare i movimenti articolatori, come l'uso di immagini o gesti. L'utilizzo di questi supporti rinforza i processi di memorizzazione e di recupero delle corrette sequenze articolatorie. Successivamente sarà importante ampliare il repertorio di suoni e sillabe prodotti per riuscire a coarticolarli in sequenze corrette per la produzione di nuove parole. Un'attenzione particolare deve essere dedicata alla prosodia, con esercizi mirati al recupero della capacità di modulare i suoni e produrre enunciati melodiosi.
Quando la disprassia verbale si associa a disprassia orale vengono proposti anche esercizi specifici per potenziare l'apparato fonatorio e gli organi deputati all'articolazione.
Senza una riabilitazione precoce e specifica, il disturbo tende a permanere, comportando un disagio che a lungo termine può esporre il bambino ad ansia, scarsa fiducia nelle proprie capacità e a disturbi dell'apprendimento scolastico.
Il termine ipoacusia indica una riduzione dell'udito di varia entità. Il deficit acustico può essere monolaterale, bilaterale simmetrico o bilaterale asimmetrico.
L'ipoacusia può avere un impatto negativo molto importante nella qualità della vita di una persona a causa delle inevitabili limitazioni comunicative.
Esistono diverse tipologie di ipoacusia
Altre classificazioni dell'ipoacusia sono relative al periodo di insorgenza: se l'ipoacusia è presente prima dello sviluppo del linguaggio si parla di ipoacusia pre-verbale, se insorge dopo lo sviluppo del linguaggio si definisce post-verbale.
In base alla causa, le ipoacusie possono essere definite genetiche (dette anche ereditarie) oppure acquisite.
Nel primo caso i soggetti possono accusare un deficit acustico fin dalla nascita, o a partire dai primi anni di vita, a causa di fattori genetici oppure a causa di complicanze verificatisi nel corso della gravidanza o durante il parto.
Nel secondo caso i soggetti subiscono danni a carico dell'orecchio interno, perforazione del timpano, traumi acustici, accumulo eccessivo di cerume, otosclerosi, neoplasie, otiti, assenza (o malformazione) del padiglione auricolare, traumi cranici, lesioni all'orecchio, patologie batteriche o virali, disturbi neurologici, sindrome di Ménière, assunzione di farmaci ototossici.
I sintomi dell'ipoacusia sono variegati. Comunemente la persona con ipoacusia percepisce i suoni in modo ovattato, ha difficoltà nel seguire una conversazione, specialmente in presenza di rumore di sottofondo.
Altri sintomi, non sempre presenti, sono la sensazione di mancanza di equilibrio, un senso di pressione all'interno dell'orecchio e il tinnito (percezione del suono in uno o in entrambe le orecchie senza la presenza di uno stimolo esterno).
Se nell'adulto è più facile effettuare un controllo sulla capacità uditiva, nel caso di un bambino la questione può essere più complessa. Al di là degli esami effettuati nei primi mesi di vita, i genitori possono richiedere ulteriori valutazioni se notano che per esempio il bambino non si spaventa nel caso di rumori di forti, oppure non si volta verso una sorgente sonora.
Anche il ritardo nell'imparare a pronunciare le prime parole o il pronunciarle in modo non molto chiaro possono indicare la presenza di un problema uditivo.
Le principali indicazioni terapeutiche per l'ipoacusia sono di tipo farmacologico, chirurgico e protesico.
In supporto a terapie chirurgiche e farmacologiche si inserisce la terapia logopedica con un training percettivo uditivo.
Il termine disabilità intellettiva identifica un funzionamento intellettivo generale significativamente inferiore alla media, associato a carenze nelle capacità di adattamento all'ambiente di vita in cui il bambino è inserito.
Il DSM-5 fa riferimento un disturbo con insorgenza nell'età evolutiva (entro il diciottesimo anno di età) caratterizzato da deficit negli ambiti della concettualizzazione, della socializzazione e delle abilità pratiche.
Per la formulazione della diagnosi è necessario che vengano soddisfatti i seguenti 3 criteri:
Si distinguono 4 livelli di gravità di ritardo intellettivo (lieve, moderato, grave e gravissimo) definiti sia sulla base dei risultati emersi dalle valutazioni testistiche, sia sulla base del livello di adattamento del bambino all'ambiente di riferimento.
Le limitazioni possono essere lievi e specifiche, legate ad alcuni aspetti degli apprendimenti, sino ad una compromissione grave e globale delle abilità sociali, personali e relazionali.
La disabilità intellettiva è dovuta spesso ad alterazioni precoci dello sviluppo dell'embrione, problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale, condizioni mediche generali acquisite durante l'infanzia o la fanciullezza.
La valutazione dovrebbe prevedere un'indagine completa della persona in esame con il coinvolgimento di più figure professionali, capaci di effettuare un'anamnesi globale di aspetti medici, linguistici, neuropsicologici.
Essenziale per l'inquadramento diagnostico è la somministrazione, quando possibile, di test psicometrici (Wisc-IV, Leiter-R…) che permettono di ottenere un inquadramento neuropsicologico completo e di stimare il livello cognitivo del bambino (stima del quoziente intellettivo che deve collocarsi sotto le due deviazioni standard dalla media quindi inferiore a 70 ).
Per quanto concerne la valutazione del funzionamento adattivo, occorre rilevare le compromissioni attraverso interviste ai famigliari e alle persone che vivono insieme al bambino.
Nei casi di Disabilità intellettiva è di estrema importanza intervenire precocemente.
Un intervento efficace deve essere integrato a più livelli: individuale, familiare, scolastico e sociale.
Gli interventi elettivi sono caratterizzati da terapie riabilitative ed educative volte a favorire il processo cognitivo, le capacità adattative, le abilità sociali, le autonomie personali.
Attraverso tecniche cognitivo-comportamentali è possibile intervenire su diversi ambiti ponendosi diversi obiettivi:
Accanto all'intervento con il bambino è utile associare un percorso di sostegno alla genitorialità per aiutare a definire prospettive future della vita del figlio e per aiutare i famigliari nella gestione della relazione con il bambino.
Episodi relativi al rifiuto del cibo sono molto comuni durante l'età evolutiva. Si manifestano durante fasi di criticità e cambiamento per il bambino (ad esempio periodo dello svezzamento o dell'acquisizione dell'autonomia alimentare) e, in quanto tali, sono transitori.
Il disturbo della nutrizione vero e proprio può avere un esordio anche molto precoce e intenso manifestandosi con: ipereccitabilità, irritabilità, faticabilità eccessiva e interruzione precoce dell'assunzione di cibo, oppositività, collera intensa, disinteresse nei confronti del cibo, tendenze a sputarlo, rovesciare il piatto o vomitare quanto introdotto. Tale rifiuto sembra esacerbarsi quanto più l'adulto cerca di forzare nell'alimentazione.
I disturbi dell'alimentazione possono essere causati da condizioni mediche come la presenza di endocrinopatie, malattie metaboliche, patologie gastrointestinali, disturbi della motricità oro-glosso-faringea.
Le cause ambientali sono invece complesse e numerose.
Quando sono presenti nel bambino disturbi dell'alimentazione di una certa gravità, troviamo frequentemente un clima familiare conflittuale e teso. A volte gli scontri avvengono proprio durante i pasti. In alcuni bambini il cattivo rapporto con il cibo può essere causato dal bisogno di dimostrare un minimo d'indipendenza nei confronti di genitori troppo oppressivi, che attribuiscono un'eccessiva importanza all'alimentazione e alla necessità che il bambino ubbidisca alle loro richieste. In questi casi il bambino/adolescente deve mangiare forzatamente perchè se non si alimenta fa stare male i genitori in quanto ne delegittima l'autorità e, nel contempo, fa aumentare l'ansia materna e/o paterna.
In altri casi è la fretta dei genitori che impedisce al bambino di godere del cibo. La premura e l'impazienza dovute agli impegni vari e al lavoro diventa, nei confronti dei figli, costrizione a mangiare tutto e velocemente, senza la possibilità di un dialogo sereno e senza gustare nulla. Inevitabili conseguenze possono essere nausea, vomito e altri malesseri intestinali che vengono associati nella mente del bambino, sia l'atto dell'alimentarsi, sia al cibo stesso.
Nel caso di anoressia nervosa e dei disturbi che implicano una restrizione o evitamento del cibo, la terapia cognitivo-comportamentale ha come obiettivi iniziali la normalizzazione del peso e l'abbandono delle condotte di restrizione dell'assunzione del cibo, delle abbuffate e delle condotte di eliminazione. In seconda battuta occorre aumentare i livelli di autostima, ampliare la definizione di sé al di là dell'apparenza fisica, ridurre il perfezionismo e il pensiero tutto-nulla, migliorare i rapporti interpersonali, aiutare i familiari a gestire il problema dei figli, mettendo anche in evidenza atteggiamenti controproducenti e da evitare.
La terapia cognitivo-comportamentale è un trattamento di provata efficacia per la bulimia nervosa. Obiettivo principale del trattamento è quello di normalizzare il comportamento alimentare; i pazienti devono riacquistare accettabili attitudini nei riguardi del cibo e modificare la convinzione che il peso costituisca l'unico, o il principale fattore, in base al quale valutare il proprio valore personale. Il primo passo consiste in interventi cognitivi tesi a interrompere il circolo vizioso restrizione-abbuffata-vomito, attraverso procedure come colloqui informativi e motivazionali, concettualizzazione del disturbo e condivisione con il paziente; vengono usate anche tecniche di automonitoraggio come i diari alimentari o la registrazione delle emozioni e pensieri che accompagnano i sintomi.
Quando il bambino/adolescente si è riabituato a un'alimentazione corretta, regolarizzando la frequenza dei pasti e utilizzando attività alternative alle abbuffate o alle condotte eliminatorie, il trattamento mira a rendere stabile il nuovo comportamento alimentare e a ridurre l'eccessiva preoccupazione per il peso e le forme corporee. Vengono quindi usate procedure cognitive per identificare e modificare le idee disfunzionali alla base del disturbo e tecniche comportamentali. La terza fase prevede l'applicazione di procedure finalizzate a mantenere i risultati raggiunti durante il trattamento: vengono usate strategie di prevenzione delle ricadute e tecniche che mirano ad aumentare la capacità di fronteggiare le situazioni critiche per il paziente.
Il trattamento farmacologico si è dimostrato efficace nella riduzione della frequenza delle abbuffate, del vomito, delle ruminazioni sul cibo e sul peso; produce inoltre un miglioramento dell'umore e aumenta la collaborazione alla psicoterapia. Il limite della terapia farmacologica è nella stabilità degli esiti: se non accompagnata da psicoterapia, sono frequenti le ricadute.
Talvolta, nei casi di anoressia nervosa e bulimia è necessario il ricovero ospedaliero per ristabilire un peso compatibile con il benessere della persona ed evitare disfunzioni agli organi che possono mettere a rischio la vita del bambino/adolescente.
L'Autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato il cui esordio può essere diagnosticato già nei primi tre anni di vita.
Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all'interazione sociale reciproca, all'abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri.
La gravità del disturbo può essere molto variabile da un bambino all'altro e la prognosi è fortemente condizionata dalle capacità cognitive del bambino e dalla pervasività dei sintomi presentati.
La possibilità di giungere ad una diagnosi precoce e tempestiva è di estrema importanza poiché consente al bambino e alla sua famiglia di ricevere un aiuto immediato e attivare un adeguato percorso terapeutico.
Alcuni campanelli di allarme che possono spingere la famiglia a richiedere una consulenza specialistica per escludere la presenza di un Disturbo dello Spettro Autistico sono:
Il DSMV-TR, manuale dei disturbi mentali attualmente utilizzato dagli specialisti, identifica tre aree di compromissione:
Possono presentarsi a volte reazioni anomale ad esperienze sensoriali, come a certi suoni o alle caratteristiche di certi oggetti.
Ognuno di questi sintomi può manifestarsi in una scala di gravità da lieve a grave e con modalità diverse da bambino a bambino.
Dopo aver ricevuto una diagnosi specialistica è importante rivolgersi a professionisti o centri specializzati che sappiano impostare un percorso riabilitativo capace di favorire l'adattamento del bambino al suo ambiente e di garantire una soddisfacente qualità di vita al soggetto e all'intero sistema famigliare.
Gli interventi comunemente ritenuti dalla comunità scientifica come maggiormente efficaci nel trattamento dei disturbi dello spettro autistico sono di orientamento comportamentale e cognitivo-comportamentale. Nel percorso riabilitativo è da ritenere fondamentale il pieno coinvolgimento dei genitori della scuola e la condivisone con loro degli obiettivi della terapia. Può essere opportuno prevedere interventi domiciliari per sostenere i genitori nella gestione delle difficoltà quotidiane.
Si consigliano sedute di trattamento logopedico con l'obiettivo di: